Dobbiamo riformare l’Unione europea. Ce ne serve un’altra, molto più efficace ed efficiente di questa. E ci serve in fretta. Lo abbiamo detto più volte. Però siamo stanchi di sentire, in via confidenziale, tanti responsabili politici affermare quanto sia “urgente” riformare la governance europea per poi far sempre prevalere nelle sedi politiche prudenza, eccesso di realismo o irresistibile tendenza a rimandare sempre a domani ciò che dobbiamo fare insieme oggi.
C’è sempre infatti una (apparentemente) buona ragione per rimandare il dibattito o per limitarsi a soluzioni minimaliste. Così passano i mesi (e gli anni) e arriviamo in ritardo a trovare soluzioni già definite da tempo. Si pensi, ad esempio, alle ultime decisioni su immigrazione e asilo, alle critiche al sistema di Dublino, che avevamo avanzato sin dall’inizio del nostro governo, o alle proposte del cosiddetto rapporto dei cinque presidenti sull’Unione Economica e Monetaria, utili ma invecchiate precocemente dopo l’ultimo difficilissimo negoziato greco.
Abbiamo davanti a noi nuove sfide, dettate dalla politica e dal calendario europei.
Nel 2016 entreremo nel vivo del negoziato con il Regno Unito in vista del referendum britannico sulla permanenza di Londra nell’Ue e dovremo rivedere gli obiettivi finanziari pluriennali europei. Nel 2017 si terranno importanti elezioni in Francia e Germania; e ci sarà da compiere la prima valutazione di come abbia funzionato il Fiscal Compact e se, e come, inserirlo nei Trattati europei: una valutazione necessariamente da realizzare alla luce delle nuove priorità di crescita e di investimenti di cui il Piano Juncker rappresenta solo la prima tappa.
Sempre nel 2017, “celebreremo” i 60 anni del Trattato firmato a Roma il 25 marzo 1957, una grande occasione per la nostra Capitale e il nostro Paese, che non dobbiamo assolutamente mancare.
Ma come arriveremo a queste ricorrenze? E avremo ancora molto da celebrare? Dipenderà da noi, dalla nostra volontà politica di rilanciare il processo di integrazione e dalla nostra capacità di mobilitare i partner europei e l’opinione pubblica attorno a nuovi obiettivi comuni. Siamo convinti che queste sfide e questo calendario vadano affrontati con coraggio e con la volontà di ripensare profondamente il modo in cui l’Europa funziona, di sfruttare al massimo tutto il Trattato di Lisbona, attuato solo in parte, e di preparare il terreno per una nuova revisione dei trattati a partire dal 2017.
Possiamo partire dal lavoro che abbiamo svolto durante la nostra Presidenza e dal nostro contributo alla riforma dell’Uem: riforma istituzionale, governo più democratico dell’euro e politica di crescita, tutela dello Stato di diritto e nuova politica dei diritti fondamentali, status europeo dei rifugiati, nuovi rapporti tra mercato unico da completare e zona euro da rafforzare, per citare solo alcune delle priorità che abbiamo portato avanti.
Soprattutto, dobbiamo sforzarci di capire, confrontandoci anche (ma non solo) con gli Stati fondatori, quanto condividiamo ancora come visione dell’Europa e se e come vogliamo veramente avanzare verso “un’Unione sempre più stretta”. Come vogliamo tutelare e promuovere i nostri valori fondanti, dove stanno i nostri interessi comuni e come vogliamo conciliare interessi nazionali e interesse europeo.
Dovremo anche avviare una nuova azione di informazione e mobilitazione pubblica per ricordare il successo di quel Trattato firmato sessant’anni fa e per promuovere - in stretto raccordo con la Presidenza di turno maltese del primo semestre 2017 - un dibattito pubblico sui nuovi obiettivi comuni che dobbiamo perseguire insieme e sugli strumenti per farlo: per governare l’immigrazione, rispondere al cambiamento climatico, rafforzare la legittimità democratica dell’euro, stabilizzare le aree a noi vicine, contribuire ad una nuova governance mondiale, sviluppare una nuova politica industriale e della ricerca continentale - solo per fare alcuni esempi - di quale Unione e di quali istituzioni abbiamo bisogno?
Per queste iniziative, lavoreremo anche in stretto contatto con il Parlamento, per fa sì che il ruolo e le iniziative dei Parlamenti nazionali possano essere decisivi per una più forte legittimazione democratica europea, partendo dalla dichiarazione comune dei presidenti delle Camere di Italia, Francia, Germania e Lussemburgo. In Italia, ciò servirà anche a proseguire un lavoro, culturale ancora prima che politico, di affermazione di una vera politica europea italiana, forti del nuovo sistema di partecipazione dell’Italia ai processi decisionali europei che stiamo sviluppando con Camera, Senato, Regioni ed enti locali e società civile.
Sarà molto importante, in questa grande riflessione sul futuro dell’Unione, che i ministri degli Esteri contribuiscano al dibattito, formulando proposte innovative sul nodo fondamentale del ruolo dell’Unione nel mondo e sulla politica estera e di sicurezza comune. E sarà fondamentale lavorare sul fronte interno nello spirito del trattato di Lisbona, affrontando le questioni istituzionali legate al futuro dell’Unione come grandi questioni interne, alla nostra politica e alle nostre società, utilizzando le sedi adeguate per fare veramente la differenza e in stretto raccordo col Parlamento europeo che ha già avviato i suoi lavori sull’avvenire dell’Unione.
Se crediamo veramente nel nostro futuro comune di europei, non dobbiamo esitare a rimettere in discussione l’Europa che abbiamo per costruirne una migliore.
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