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Intervista del Sottosegretario Sandro Gozi al Messaggero 1 luglio 2014
pubblicato su Il Messaggero il 1 luglio 2014
 

«In questi primi sei mesi di legislatura, intendiamo avviare un nuovo ciclo politico in Europa, che deve essere del cambiamento. Un ruolo da costruire, giorno per giorno, anche in Italia. E tutti saranno chiamati a dare il proprio contributo»: così Sandro Gozi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio delegato alle Politiche europee, richiama tutti gli attori nazionali alla sfida che si apre domani.

Qual è il senso dell'accordo sulla flessibilità trovato durante l'ultimo Consiglio europeo?
«E' un cambio di passo. Dall'applicazione statica delle regole finalizzate unicamente alla stabilità, a una visione dinamica legata ai nuovi obiettivi politici contenuti nel documento Van Rompuy, e alle riforme strutturali. Le politiche europee devono accompagnare e incoraggiare le riforme, non ostacolarle con un approccio puramente contabile, come quello applicato sin qui da 0lli Rehn. Significa usare quella clausola di flessibilità, già contemplata dalle regole europee, che sinora è stata negata all'Italia. Ovvero, sul medio periodo, attenuare la traiettoria del rientro dal debito pubblico, in presenza di riforme strutturali che contribuiscono alla crescita. Un quadro in cui l'impegno a realizzare un piano europeo di investimenti comuni in settori strategici, dall'energia alla ricerca, annuncia uno strumento di crescita attiva, che manca all'Europa e che dobbiamo creare in questo nuovo ciclo».

In termini concreti, che cosa rappresenta per l'Italia?
«Un buon esempio di quanto abbiamo ottenuto con quel documento era stato già stato anticipato dal Def. La nostra priorità è pagare i debiti della pubblica amministrazione alle imprese. E' giusto così: le imprese non possono chiudere perché non le paghiamo, e secondo le stime contenute nel Def si immetterà sul mercato un flusso di denaro di circa 60 miliardi. Per raggiungere quest'obiettivo, nell'immediato il debito pubblico aumenterà un pochino, per poi tornare ad abbassarsi: ora questo approccio, che per primi abbiamo proposto, è stato condiviso da tutti i leader europei».

Ma allora perché Beppe Grillo parla di una sconfitta del presidente Matteo Renzi?
«Dovrebbe chiederlo a lui. Certo, bisogna sapere che cosa si negoziava. Stiamo parlando delle nuove priorità per i prossimi 5 anni, e delle aree strategiche di queste nuove politiche. In quella sede, abbiamo anticipato il nostro semestre, nella direzione di un'Europa che faccia meno cose, ma le faccia meglio. Per l'occupazione, vogliamo cominciare con rendere permanente il programma "Garanzia giovani" e dare nuove opportunità innanzitutto ad apprendisti e giovani lavoratori e imprenditori. Come pure si lavora a una politica energetica comune che differenzi gli approvvigionamenti. Si punta a condividere responsabilità e costi delle ondate migratorie. E la lotta contro i cambiamenti climatici da oggi è la grande priorità per l'Ue. Se tutto questo è una sconfitta, firmerei per perdere così ogni settimana».

A complicare il negoziato c'era anche l'opposizione di Carneron alla nomina di Junker. Ora i due si sono sentiti. Si comincia con una tregua?
«E' certamente un buon segnale. Gli inglesi si sono messi all'angolo da soli. Una posizione che non fa bene a nessuno. E' importante che Londra sia nei giochi. Abbiamo tenuto sempre un canale aperto con Cameron, perché condividiamo tante priorità: la lotta alla burocrazia eccessiva, la semplificazione che favorisca politiche di competitività, l'innovazione e l'agenda digitale. Sono certo che coopereranno a comporre la migliore Commissione possibile».

Il quadro europeo è dunque favorevole. Ma le riforme che lo fondano, dovete farle in Parlamento.
«Renzi è stato molto abile nel convincere 27 capi di Stato e di governo, a impegnarsi per cambiare il volto dell'Europa, ma ora bisogna che si convinca anche chi in Italia, in Parlamento e fuori, rallenta le riforme. Confido che Renzi saprà vincere le resistenze della conservazione, che sono annidate ovunque e che tutelano solo se stesse. Adesso sta al governo, al Parlamento e alle forze economiche e sociali dare un senso concreto al contesto europeo. Maggiori saranno le riforme, maggiore sarà la nostra credibilità in Europa».

Sonia Oranges


 
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