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Intervento del SS. Sandro Gozi al XXV Meeting per l'amicizia tra i popoli
Rimini, 25 agosto 2014
 
“L’IMMIGRAZIONE E IL BISOGNO DELL’ALTRO”
 

Vorrei concentrarmi sul tema del “bisogno”.

La nostra società ha preteso per tanti anni di cancellare l’idea stessa dell’avere bisogno, come se fosse un tratto distintivo delle società in via di sviluppo, da abbandonare non appena raggiunto un certo standard di benessere.

In realtà è impossibile avere una società e costruire una comunità senza senso del bisogno e senza interrogarsi sulla diversità.

Un grande intellettuale come Leopold Sedar Senghor ci ha lasciato un messaggio di grande rilevanza: “Bisogna cercare sino in fondo nei semi del particolare per trovarvi l'aurora dell'universale”.

E’ proprio la nostra condizione di società occidentale ancora benestante, benché provata dalla crisi economica, a dover tornare a fare i conti con il senso del bisogno, e specialmente del bisogno di quello che chiamiamo altro-da-sé.

E dunque: chiediamoci “chi sia il nostro altro”, e cioè di fronte a cosa ci misuriamo. Come scriveva Edith Stein, “Non ci conosciamo se non nell’altro”. Sono infatti convinto che uno dei compiti principali della nostra società sia quello di costruire una relazione proficua con l’alterità. A ciascun livello: sociale, politico e religioso.

Questo vale anche per la politica estera e per l'immigrazione. L'emergenza che corre lungo tutto il Mediterraneo non può essere un problema esclusivamente italiano.

Se c'è un ambito dove l'Europa può dimostrare di non essere solo un'unione di contabili è proprio la sorveglianza delle frontiere, con la necessità di adottare una politica comune verso rifugiati e immigrati, e una gestione comune degli irregolari.

Nei confronti dei paesi arabi e mediorientali abbiamo una duplice responsabilità: da una parte, aiutarli a liberarsi di satrapie e regimi inaccettabili, dall'altra aiutarli a costruire vere democrazie.

E noi allora cosa dobbiamo fare, nei confronti di questi “altri” che ci chiedono aiuto?

Abbiamo un dovere di intervento, una responsabilità di proteggere.

Ci serve una politica più forte del gioco degli interessi. La vera sfida è questa, e passa per forza da una maggiore integrazione europea.

L'Europa deve decidere cosa vuol fare da grande.
Non è possibile che ogni volta che si presenta un problema con ricadute sull'intera comunità, il primo tentativo sia sempre quello di lasciarlo al paese in prima linea, come accade a noi sull'immigrazione.

L'Italia sta lavorando perché questa cultura europea faccia molti passi avanti durante il Semestre di Presidenza Italiana. Fare passi avanti vuol dire smetterla di ragionare in termini puramente nazionalisti e iniziare a ragionare in termini europei.

E' chiaro che forse la cosa che manca maggiormente in Europa in questo momento è una visione, e per visione intendo la capacità che è stata di uomini come Kohl o Spinelli o Delors, di sacrificare l'interesse immediato a un disegno più ampio e più vantaggioso per l'intera comunità di europei.

Questa mancanza di visione è alla base delle piccole tante crisi europee, di cui Frontex è solo l'ultimo esempio. Troppe volte ci si ferma di fronte a necessità politiche, sociali e umanitarie perché a spaventare è il costo economico. Ma quando Kohl ha voluto riunificare la Germania non si è chiesto solo quale fosse il costo economico di un'operazione di quella portata. Si è chiesto quale fosse il guadagno politico per un intero continente, quale opportunità di pace e prosperità si portasse dietro, e in questa ottica ha inscritto la sua azione politica.

Oggi vedo prevalere in tutta l'Europa una visione economicista che fa torto a tutte le nazioni. E davanti agli accordi che non si chiudono mi domando: ma siamo sicuri che le soluzioni prospettate finora siano giuste? E che l'Europa sia solo vincoli e parametri finanziari? Certamente non era questa l'Europa a cui pensava un padre fondatore come De Gasperi. E neppure che sognavamo noi della generazione Erasmus, che ora che siamo al governo dobbiamo operare come figli ri-fondatori.

Per quanto riguarda immigrazione e Frontex il problema è quello di trasformare gli impegni presi nell'ultimo vertice europeo di fine giugno in fatti: si tratta di un passaggio fondamentale per dare ai cittadini europei fiducia nelle istituzioni comunitarie.

Non è possibile che ogni volta che si prende una decisione, i paesi che non la condividono sino in fondo puntino poi sull'inerzia per far saltare tutto. Abbattiamo il nuovo muro europeo: il muro dell'inerzia e dell'ipocrisia!

Frontex deve progressivamente sostituire Mare Nostrum, discutendo insieme in Europa modalità e ambito geografico di intervento. E stiamo studiando glie aspetti politici e tecnici per raggiungere questo obiettivo, in visto del consiglio affari interni di ottobre e dell'avvio della nuova Commissione Juncker.

Avviamo i programmi pilota con UNHCR e UE nelle zone vicine ai conflitti.
Promuoviamo partenariati di mobilità tra UE e paesi di origine e di transito, combinando cooperazione economia e gestione flussi.
E prendiamo rapide iniziative UE in Libia, che è la propaggine più occidentale delle tensioni irachene e siriane. C'è la faremo però solo attraverso mediatori che abbiano veramente la capacità di mettere attorno al tavolo tutte le tribù e le forze in campo in Libia.
Quelle stesse tribù che prosperano con i barconi pieni di disperati approfittando della dissoluzione dello stato libico.

Dobbiamo sfruttare il semestre di presidenza europea per dare una forte accelerazione a questi impegni, altrimenti il rischio è che i cittadini europei vedano nella UE solo una sovrapposizione burocratica alle burocrazie dei rispettivi paesi. E questa sarebbe la fine del sogno comunitario.

Se vogliamo un'Europa che funziona e che accoglie, a cominciare dai suoi cittadini che dentro quella comunità già vivono, dobbiamo continuare a costruirla ogni giorno, senza interruzioni, e senza esitazioni.


 
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