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Intervento del SS. Gozi alla Conferenza fuori sede della Commissione ENVE
“Il cambiamento climatico: le strategie locali e regionali in materia e il loro contributo a una migliore qualità dell’aria”
 
Bologna, 17 ottobre 2014
 

Di tutti i disastrosi effetti del cambiamento climatico, che purtroppo stiamo già pagando sulla nostra pelle, ce n’è uno solo positivo. L’allarme ormai generalizzato ha reso questo problema prioritario su scala continentale e quindi la politica lo ha messo in testa alla sua agenda.

E questa discussione è particolarmente importante poiché avviene in un momento in cui il nostro Paese ha la possibilità di incidere sulle scelte europee che riguardano clima e ambiente. Il Semestre di Presidenza Italiana è infatti una grande opportunità per cambiare l’agenda sul clima, ed è proprio quello che il governo, come poi vi spiegherà il Ministro Galletti, intende fare.

La Presidenza italiana intende infatti spingere l’Unione Europea, molto più di quanto abbia fatto finora, verso un’economia amica dell’ambiente, più verde, sostenibile e competitiva

Il punto di riferimento deve per forza di cose essere il Quadro per le Politiche dell’Energia e del Clima al 2030. Quello che vogliamo, infatti, è fare in modo che i cittadini e le aziende dell’Unione utilizzino sempre meno carbone, riducendo sia i gas serra che i costi della bolletta energetica. Ciò significa arrivare a una decarbonizzazione efficace dell’economia, per quanto riguarda sia i costi che la riduzione dei gas a effetto serra. Di conseguenza, la Presidenza Italiana intende sostenere con forza la proposta della Commissione Europea sulla riforma del sistema ETS delle quote di emissione europee. In questo senso, la nostra volontà è quella di proseguire il lavoro svolto dalla Presidenza Greca che ci ha preceduto.

È molto importante che la discussione sul Pacchetto Clima ed Energia arrivi al Consiglio Europeo previsto per la prossima settimana. Sarebbe l’esempio tangibile del fatto che la UE accoglie come prioritaria il problema dei cambiamenti climatici e della sostenibilità ambientale, fissando obiettivi ambiziosi per quanto riguarda standard e riferimenti.

In particolare, sono quattro i punti fondamentali del pacchetto: 1) ridurre le emissioni; 2) garantire gli investimenti sulle fonti di energia rinnovabile; 3) ottenere una maggiore efficienza energetica; 4) curare il sistema di interconnessioni.

Tuttavia questi obiettivi devono rimanere legati alla volontà di rilanciare l’economia europea: coniugare economia e salvaguardia dell’ambiente e del clima non è, come pensano ancora in troppi, un modo ipocrita di rinviare le misure ecologiche necessarie. Al contrario è la garanzia che queste decisioni necessarie vengano prese, perchè da queste decisioni passa il benessere dei cittadini europei e del resto del pianeta. se sapremo dimostrare che economia e politiche ambientali possono viaggiare di pari passo, sapremo convincere anche i più scettici tra i paesi sviluppati o in via di sviluppo, sulla necessità di adottare i migliori provvedimenti per arrestare il cambiamento climatico in atto. Il nostro obiettivo è quello di tornare a crescere in maniera sostenibile. Una delle priorità, da questo punto di vista, è lavorare per l’affermarsi di una green economy che aumenti le opportunità di crescita e di occupazione, efficiente nell’uso delle risorse e a bassa emissione di CO2. Insistere sui green jobs è davvero fondamentale: la lezione americana, da questo punto di vista, ci insegna che la Presidenza Obama ha raggiunto alcuni dei suoi migliori risultati proprio lavorando con convinzione sulla creazione di un’economia verde.

Per tenere insieme crescita e sostenibilità abbiamo già a disposizione uno strumento importante: la Strategia Europa 2020. Faccio notare che, a metà del percorso, tra i vari obiettivi di EU2020 i più vicini a essere raggiunti sono proprio quelli di carattere ambientale. Ora però è necessario insistere: la Presidenza italiana sta concentrando molti sforzi sulla necessità di preparare al meglio la revisione di Europa 2020, prevista per la primavera 2015, affinché target e metodo di lavoro siano ancora più efficienti in vista della scadenza del programma, prevista tra cinque anni.

C’è una parola chiave in tutto ciò, ed è la parola “investimenti”. La presidenza italiana si è battuta fin dall’inizio del Semestre affinché nell’agenda della nuova Commissione Juncker entrasse con forza questa parola. Non usciremo dalla spirale della crisi economica finché non saremo in grado di garantire gli investimenti pubblici e privati, ma soprattutto pubblici, di cui il mercato europeo ha bisogno. Jean-Claude Juncker ha recepito questo messaggio, lanciando un piano da 300 miliardi di euro di investimenti: bene, entro la fine dell’anno chiederemo i dettagli di questo piano già annunciato e pretenderemo che sia costituito da fondi che non erano previsti in altre voci di bilancio. Devono essere 300 miliardi in più rispetto a quelli stanziati, e non 300 miliardi al posto di quelli già stanziati. La ragione è molto semplice: siamo convinti che l’Unione Europa debba prevedere al più presto un ambizioso piano di investimenti nel settore delle energie rinnovabili. E’ un investimento fondamentale: non solo ci permette di rimettere in moto l’economia creando posti di lavoro, ma ci permette di migliorare la salute ambientale, ci permette di ridare ossigeno alle persone, nel vero senso della parola. Investire sulle rinnovabili a livello europeo significa garantire un futuro sostenibile alle nuove generazioni, e lasciare un chiaro segno politico di quella che è la nostra idea di futuro e di società.

Certo, stiamo parlando di un problema mondiale, che non riguarda solo l’Italia o solo l’Europa. Ma L’Europa ha il dovere di tracciare una rotta, e ha il merito – la sua storia lo insegna – di essersi posta sempre in prima fila nelle battaglie per l’ecosostenibilità. Proprio per questo non possiamo pensare di affrontare da soli il problema: un elemento fondamentale sarà la capacità di raccordo e relazione con gli altri player internazionali. Dobbiamo chiederci quale sia il ruolo dell’Unione Europea in un contesto globale: la Presidenza italiana è fortemente impegnata a sostenere la UE all’interno della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), in vista della XX Conferenza delle Parti dell’UNFCCC (Lima, Perù, dicembre 2014), che rappresenta una tappa decisiva verso un possibile accordo globale sul clima nel 2015 a Parigi. Ci sono tutti i presupposti affinché Parigi possa essere una nuova Kyoto, ma dobbiamo lavorare insieme nello spazio di tempo che manca, e soprattutto dobbiamo fare in modo che tutti gli attori coinvolti, in particolare quelli asiatici, possano convergere nella stessa direzione di marcia. Europa e Stati Uniti hanno infatti da tempo assunto un profilo sensibile alle tematiche ambientali e climatiche: è però insufficiente questo sforzo se i partner asiatici non portano il proprio contributo.

C’è un punto molto importante del pacchetto Clima ed Energia che voglio sottolineare: quello relativo all’efficienza delle risorse. Cosa significa? Che dobbiamo sprecare meno, rendendo più efficiente la distribuzione dell’energia. Ma che dobbiamo rendere più efficiente anche il reperimento dell’energia, diversificando le fonti di approvvigionamento, per esempio.

Spesso questo tema viene considerato di minore impatto, ma al contrario io credo che debba rappresentare una delle priorità più importanti dell’approccio europeo. Sono tanti infatti i settori che possono essere coinvolti da un ragionamento ad ampio raggio sull’efficientamento: dagli aspetti sociali, economici, a quelli ambientali e sanitari, a livello sia globale che locale.

Da un lato, dobbiamo garantire che una maggiore efficienza nell’utilizzo dell’energia venga messa in atto; dall’altro, e insisterò su questo punto, dobbiamo fare in modo che il portafoglio della nostra dotazione energetica sia quanto più possibile ampio. La ragione è semplice: aumentando le interconnessioni interne all’Unione Europea, avremo molte più possibilità di essere immuni da eventuali ripercussioni esterne. Questo non significa, naturalmente, ambire ad una totale indipendenza energetica: molto più realisticamente, avere la sicurezza che qualsiasi evento di qualsiasi natura possa accadere nei teatri regionali a contatto con l’Unione Europea (dal Nordafrica alla Russia), non ci saranno conseguenze gravi da un punto di vista del reperimento delle risorse.

Ma per ridurre questa dipendenza energetica ci serve più Europa di quanta ne abbiamo ora. Ecco perchè i profeti dell’isolazionismo o dell’Italietta fai-da-te cavalcano una demagogia pericolosa. Stare ai margini dell’Europa ci caricherebbe di rischi che l’Italia, da sola, non potrebbe superare. Più Europa significa maggiore sicurezza, vuol dire più economia verde, più reti di salvataggio politico e ambientale. Vuol dire più futuro per noi e i nostri figli. Credo che sia una scommessa che vale la pena di fare.


 
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