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Intervento del Sottosegretario Gozi al Seminario di Campo Democratico
Roma, 16 / 17 gennaio 2015
 

Rappresentanza in crisi, politica in crisi. E’ un’equazione perfetta e purtroppo corrisponde alla realtà che ci troviamo ad affrontare tutti i giorni. Saggiamente, questo seminario non è dedicato solamente a comprenderne le cause di questo cortocircuito - in questo la sinistra italiana è imbattibile - ma soprattutto a individuare possibili vie di uscita.

Ne propongo una talmente semplice da sembrare banale: la crisi della politica finirà quando ricominceremo ad ascoltare le persone. In tutti i luoghi in cui è possibile farlo. Nelle sedi e nei circoli di partito se sapremo ripensarli, ma anche in luoghi che nella nostra geografia non esistono per mancanza di immaginazione. Se quelli che abbiamo a disposizione non funzionano o stanno cessando la loro ragione d’essere ,dovremo essere capaci di inventarci nuove sedi, nuove piazze, nuovi centri di discussione. Nuovi momenti in cui la politica si mette in ascolto perché senza questi momenti la politica non esiste.

Da romagnolo, non posso non ricordare i tristissimi dati di affluenza alle ultime elezioni regionali, pur vinte. Se vota il 37% degli aventi diritto in una regione come l'Emilia-Romagna, significa che la politica è sparita, e siamo approdati in una dimensione post-politica, per citare il compianto Edmondo Berselli, che però non è come quella che ci immaginavamo. Specialmente perché, prima delle elezioni regionali, c'era stato il pasticcio delle primarie, costantemente a rischio annullamento, e solo grazie alla tenacia di Roberto Balzani si è tenuto un passaggio che io reputo comunque importante.

L’Emilia-Romagna merita una riflessione approfondita, non soltanto perché si tratta della mia regione, ma perché è un caso politico da studiare con attenzione. Cosa abbiamo imparato dall’Emilia-Romagna? Che quando siamo stati capaci di proporre idee di rottura con il passato, accompagnate da candidature in grado di ampliare il campo delle tradizionali forze politiche di centrosinistra, siamo riusciti ad allargare il numero dei nostri consensi. L’esperienza di campo democratico è stata fondamentale in questo senso per attrarre consensi e simpatie fuori dal nostro elettorato storico, per la verità spossato da anni di delusioni politiche regionali. Faccio l’esempio della mia Cesena perché rappresenta un caso paradigmatico, come Roberto Balzani conosce bene: l’azione incisiva ed efficace del gruppo “Pd ultima chiamata”, sorto per dare una scossa al Pd dopo la terribile parentesi dei 101 di Prodi, a Cesena è riuscito a imporre una diversa agenda politica alla città. “Pd ultima chiamata” è stato in grado di coagulare un ampio numero di esperienze politiche, che guardava con interesse al centrosinistra purché questo fosse in grado di presentarsi con proposte innovative. E, naturalmente, anche candidati innovativi: la sfida alla segreteria territoriale di Enzo Baldazzi è stata premiata con il 43% dei voti degli iscritti, un risultato eccellente che ha dato una scossa al pd locale.

L'amico Goffredo Bettini ha scritto un brillante pamphlet intitolato "Oltre i partiti". Condivido l'approccio del suo ragionamento, nonché la necessità di riconoscere tutti gli errori compiuti dai partiti, che per troppo tempo hanno pensato di più alle proprie sfide interne che a quelle esterne. E’ chiaro che se nelle sedi deputate, nei circoli e nelle sezioni di partito si parla e ci si confronta soprattutto o quasi esclusivamente su chi deve occupare determinate posizioni e su quale corrente deve ottenere più potere rispetto alle altre, il risultato può essere solo  la fine della politica. Si finisce per dare spazio a nuove e alternative forme che hanno provato a soppiantare i partiti esistenti.

Eppure, forze politiche che si richiamano esplicitamente a movimenti (come i 5 stelle) o la lega, che dopo anni di governo sta rispolverando la propria natura movimentista delle origini, fino ad ora si sono preoccupati molto di distruggere e pochissimo di costruire. Diamo atto al pd, con tutti gli errori che può aver commesso, che sulla parte di costruzione della politica e delle politiche ha cercato di tenere il punto molto più di qualsiasi altra organizzazione. La domanda che mi faccio, a questo punto, è molto semplice. Se accettiamo che i partiti non siano più il luogo della politica, se accettiamo che abbiano solo "forza senza legittimità" per citare la fortunata formula di Piero Ignazi, dobbiamo anche chiederci chi siano i soggetti deputati a fare politica. Lo sforzo che abbiamo fatto in questi anni di lavoro con campo democratico era precisamente rivolto ad allargare il campo d'azione delle forze progressiste, superando vecchie e inutili divisioni, con l'obiettivo di dare risposte comuni a problemi sempre più complessi. Ma al fondo di tutto, c'era l'idea che qualcuno dovesse occuparsi di fare politica.

Sia ben chiaro: non c'è paese in Europa in cui i principali e storici partiti non stiano soffrendo crisi di rappresentanza o di legittimità. Il Labour o i socialisti francesi non stanno certo attraversando un momento di splendore: tuttavia, la differenza con l'Italia è che in Francia e in Gran Bretagna esiste un sistema di istituzioni forti che compensa i vuoti della politica. In Italia abbiamo un sistema istituzionale che negli ultimi anni è stato sempre di più indebolito, apertamente contestato e delegittimato e, cosa più grave, fino all'avvento del governo Renzi poco o nulla è stato fatto per porvi rimedio. Eppure tutti richiamavano alla necessità di ammodernare il nostro sistema, alleggerire senza indebolire l'architettura istituzionale, dotare il paese di una legge elettorale chiara. Ora, con il governo Renzi, il superamento del bicameralismo paritario è all'esame della camera mentre l'Italicum è incardinato al senato. Confesso che molte delle critiche lette o sentite rispetto all'Italicum mi hanno stupito: non sarà la legge elettorale perfetta (non mi pare d'altra parte che ci sia un parlamento disposto ad approvarne una perfetta), ma garantisce governabilità grazie al doppio turno e rappresentanza col sistema dei capilista (nei fatti sono dei collegi) e delle preferenze.

Tutto ciò riguarda la politica vista dall'alto. Poi naturalmente c'è quella che dai territori parte verso i luoghi di rappresentanza e decisione. Negli ultimi mesi ho avuto spesso la possibilità di fare politica sui territori, sia in fase di campagna elettorale che di attività "ordinaria". E ho dovuto riconoscere che pure in una terra cresciuta a pane e impegno politico come la mia, molto era stato perso.

Il pd aveva una straordinaria dote, e cioè una rete di circoli in cui discutere e compiere il primo passo della propria attività politica. Se qualcuno va a fare un giro in qualsiasi circolo, oggi come oggi rischia di uscirne sconfortato. Spesso e volentieri i circoli non dibattono, non affrontano temi, vengono usati solo come serbatoi di voti nel momento in cui si presenta la tornata elettorale di turno, che si tratti di primarie o di amministrative poco importa.

Cosa pensano i nostri iscritti degli attentati di Parigi? E del Jobs act? La realtà e’ che non lo sappiamo. Il problema maggiore degli ultimi anni è che, soprattutto a livello locale, si sono appiattite le sfere dell'amministrazione pubblica e della politica. Col risultato che sempre di più l'amministrazione ha usato la propria forza per fare politica, e sempre meno i partiti hanno avuto la possibilità di incidere nelle scelte politiche delle città o delle regioni. Anzi, di frequente i partiti non hanno fatto altro che vidimare scelte politiche fatte da altri. Questo doppio standard è inaccettabile. Un partito sul territorio deve evidentemente supportare la propria maggioranza, ma non deve esserne succube. Anzi. Dovrebbe stimolare il confronto e il dibattito, e correggere la rotta nel momento in cui si ravvisi che questa sia sbagliata. Se la politica si esaurisce in una riunione di giunta o in un'assemblea comunale o regionale, davvero non siamo sulla buona strada.

Non possiamo chiedere ai cittadini di mobilitarsi solo quando c'è da dare una preferenza o quando si deve vincere un congresso. Siamo noi che abbiamo responsabilità a livello nazionale ed europeo (ma pure regionale, sia chiaro) che dobbiamo accettare la sfida e presentarci dai nostri iscritti ed elettori. Per capire cosa non funziona. Per spiegare quel che vogliamo fare, fuori dai dibattiti televisivi. Siamo noi che dobbiamo presentarci nei luoghi e nei momenti dove nascono i problemi. Già esserci, significa aver preso coscienza delle priorità politiche.  Esserci vuol dire almeno aver chiaro su cosa dobbiamo intervenire. Esserci ed ascoltare e’ metà del lavoro. L’altra metà e’ saper proporre valide soluzioni e convincere le persone che quelle soluzioni vanno sostenute, abbracciate, praticate insieme. Da amministratori, politici e cittadini. Le frasi populiste che troppo spesso suppliscono alla mancanza della politica sono tanto consolatorie ma non producono effetti sulla nostra vita. E se i demagoghi di turno trovano tanto spazio, in Francia come in Italia, dopo una tragedia come quella di Charlie Hebdo, e’ perchè c’e’ un vuoto di discussione, un vuoto di confronto, un vuoto di proposte. Un vuoto che si combatte con la politica. Solo la politica che si riappropria del suo ruolo impedirà all’Europa di farsi ammaliare da chi alimenta l’odio e la paura.

Se il pd ha un futuro, esso passa dalla lotta alle oligarchie, dalla battaglia ai potentati che purtroppo ancora bloccano il partito e le speranze di rinnovamento della sinistra italiana. Il futuro del pd e della sinistra italiana passa dalla capacità di ricreare luoghi di discussione, di confronto e di proposta. Con la consapevolezza che non sarà facile. Nell’epoca tecnologica, degli smartphone, delle reti e dei social network e’ più facile per tutti restare tra le mura di casa ed esprimere pareri sul web senza confrontarsi davvero con altre opinioni. In questo modo si crea solo un rumore di fondo che non cambia le cose, ma si limita a prendere atto di quanto succede. Noi abbiamo l’obbligo di misurarci con le persone, di andarle a pescare e portarle in luoghi come questo, e anche nei circoli, alle feste dell’unita’ e in tutti i luoghi dove i soliloqui tecnologici hanno la possibilità di trasformarsi in dialoghi. Cioè in tutti i nuovi luoghi della politica che sapremo inventarci.

Forse, il modo migliore per avvicinare la gente è spostare i circoli nelle piazze, all’aperto, dove le contraddizioni sociali si manifestano, e fare in modo che queste piazze siano collegate tra loro. Spostiamoci noi, laddove le piazze diventano luoghi del disagio, senza dimenticare quelli che sono difficili da raggiungere di persona perché a casa, davanti al pc o allo smartphone. Dobbiamo avere l’ambizione di tenere insieme tutti questi luoghi ideali: i circoli, la piazza e la rete. Abbiamo bisogno di tutti, e non possiamo dimenticare nessuno.

Ci servono capacita’ di comprensione e scelte molto coraggiose , che però spesso e volentieri vengono premiate dagli elettori e dai cittadini. Con renzi abbiamo iniziato un percorso che è lontano dall'essere concluso. Ma la strada è quella giusta.


Sandro Gozi


 
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