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Intervento del Sottosegretario Gozi all’incontro “Gioco di testa – Rete delle Idee”
 
Oltre i confini: Europa e terrorismo
 
Cesenatico, 13 marzo 2015
 

Abbiamo visto tutti le immagini dei terroristi dell’Is che devastano a martellate l’antico sito assiro di Nimrud. Nel corso dei secoli, di fronte a quel sito nell’attuale Iraq, milioni di uomini si sono fermati e hanno ammirato la bellezza infinita dell’arte; e in una terra che da migliaia di anni conosce nuove e diverse dominazioni, mai nessuno aveva neanche lontanamente pensato di distruggere con la ruspa ciò che l’uomo aveva creato. Un grande intellettuale come Franco Cardini l’ha definita “barbarie post-moderna”, in quanto il califfato non respinge solamente un’idea della modernità: respinge tutto ciò che non appartiene alla propria tradizione e ai propri precetti.

Vedendo quelle tristi immagini, mi è tornato alla mente un altro esempio di terribile scempio compiuto pochi anni fa: si trattava dei taliban che distruggevano le statue di Buddha di Bamiyan in Afghanistan. Un altro conflitto, un'altra terra e un’altra opera d’arte devastata.

Questa è la minaccia più sconvolgente che il nostro tempo si trova ad affrontare. Non tanto, e non solo, la furia conquistatrice di un autoproclamatosi Califfo che mira a riportare le lancette della storia indietro di molti secoli. Ciò che è drammaticamente più grave è la minaccia che incombe sulla nostra società, sul nostro modo di essere, sulla nostra idea di civiltà – libera, uguale, laica – che viene messa sotto attacco.

Ho avuto l’enorme privilegio di essere presente alla marcia dei leader europei a Parigi dopo la strage di Charlie Hebdo: non dimenticherò mai l’orgoglio della Francia, ferita a morte ma fermamente decisa a non piegarsi al ricatto dell’odio e del terrore. La verità è che mai come questa volta dobbiamo avere il coraggio di accettare la realtà, senza dietrologie e senza ricercare legami che non ci sono: l’Occidente, con tutti i suoi limiti e i suoi difetti (e le sue colpe, sia chiaro) è attaccato da un’ideologia primitiva che ne vuole la distruzione.

Di fronte a questa situazione, abbiamo due strade di fronte a noi. Continuare a manifestare la nostra debolezza, o decidere di unirci, superando i nostri contrasti, per rispondere in maniera forte e chiara alle minacce che si presentano giorno dopo giorno.

L’immagine dei leader che camminavano fianco a fianco a Parigi è l’immagine dell’Europa che voglio, e per la quale mi impegno quotidianamente. Un’Europa che non rinnega la propria storia ed è capace di dimostrare che non è solo un'unione di contabili. Un’Europa capace di produrre misure efficaci per contrastare la nuova minaccia terroristica che si affaccia ai propri confini. Un'Europa che per i propri cittadini è in grado di garantire il diritto alla sicurezza ma anche la sicurezza dei diritti per tutti coloro che vivono in Europa, e per chi vuole viverci in pace.

Naturalmente, l'Europa non ha scoperto il terrorismo solo dopo Charlie Hebdo. Passi in avanti verso una migliore gestione della sicurezza erano già stati fatti a livello comune, ma è evidente che i tragici eventi di Parigi hanno imposto un'accelerazione. L'immagine dei leader europei affiancati significa infatti che la risposta al fenomeno del terrorismo internazionale dovrà essere per forza europea, condivisa e multidimensionale. Questo significa: unità d'intenti all'interno, e maggior cooperazione con i paesi terzi, in particolar modo quelli maggiormente esposti al rischio di infiltrazione terroristica e di radicalizzazione.

La sfida infatti non è semplicemente quella di garantire una maggior sicurezza. La sfida è molto più complessa: costruire un sistema che riesca a combinare bisogno di sicurezza senza per questo andare a limitare i diritti e le libertà fondamentali. Non possiamo permetterci di cadere in questa trappola. L'Unione Europea deve riuscire a lanciare un messaggio chiaro: più sicurezza, più libertà. Non devono esistere diritti sacrificabili: se ora vogliamo essere coerenti dobbiamo cercare altre strade, anche se sono più difficili.

Un esempio concreto: nei giorni successivi a Charlie Hebdo, i dibattiti televisivi sono stati inondati da fomentatori di odio che hanno ripetuto come un mantra un'idea tanto semplice quanto pericolosa: aboliamo Schengen. Cioe’ aboliamo il trattato che regola la libera circolazione in Europa. Cioe’ ripristiniamo le barriere che abbiamo fatto cadere, alziamo muri dove non ce ne sono piu’, creiamo ostacoli al dialogo, alla conoscenza e allo scambio in Europa. E’ come dire: Torniamo indietro, torniamo al passato, torniamo al mondo piccolo di ieri, tanto rassicurante anche se oggi non funzionerebbe più.

Il quadro internazionale, tuttavia, non riguarda solo il terrorismo. C'è un altro grande fenomeno di che dobbiamo affrontare poiché entra direttamente dentro ai nostri confini: le ondate migratorie. È come se il mar Mediterraneo, che negli ultimi anni sembrava essere finito ai margini della scena globale, fosse all'improvviso ritornato protagonista. Un grande giornalista come Domenico Quirico della Stampa, tenuto prigioniero per cinque mesi in Siria, ha usato queste parole: "Nord contro sud, est contro ovest, oriente contro occidente, l'islam all'assalto della cristianità. La storia torna, con dramma e dolore, laddove è nata, nel mar Mediterraneo: la grande cerniera di cui l'avventura umana ha fatto il suo ambito prediletto".

L'errore che abbiamo fatto, riguardo al Mediterraneo, è l'aver pensato che potesse trasformarsi nel nostro stagno personale solo perché noi europei non avevamo più bisogno di solcare le sue acque per trovare sviluppo e progresso. Abbiamo pensato che fosse sufficiente specchiarci a sud della Sicilia, perché tanto qualcuno avrebbe risolto altri problemi per noi, problemi che nemmeno noi volevamo vedere.

Ed è successo che il Mediterraneo nel giro di pochi anni è diventato teatro di guerre, terrorismo islamico e continue ondate di profughi. L'Europa, che probabilmente sente più vicino il mare del nord, ha iniziato a ragionare troppo da Lega Anseatica e troppo poco da attore piantato coi piedi sulle sponde del Mediterraneo.

La realtà è che l'Europa deve decidere cosa vuol fare da grande.
Non è possibile che ogni volta che si presenta un problema con ricadute sull'intera comunità, il primo tentativo sia sempre quello di lasciarlo al paese in prima linea, come accade a noi sull'immigrazione. L'Italia si è impegnata molto durante il semestre di presidenza, affinché questa cultura europea faccia molti passi avanti. Fare passi avanti vuol dire smetterla di ragionare in termini puramente nazionalisti e iniziare a ragionare in termini europei.

E' chiaro che forse la cosa che manca maggiormente in Europa in questo momento è una visione, e per visione intendo la capacità che è stata di uomini come Kohl o Spinelli o Delors, di sacrificare l'interesse immediato a un disegno più ampio e più vantaggioso per l'intera comunità di europei. Questa mancanza di visione è alla base delle piccole tante crisi europee, di cui Frontex è solo l'ultimo esempio. Troppe volte ci si ferma di fronte a necessità politiche, sociali e umanitarie perché a spaventare è il costo economico. Ma quando Kohl ha voluto riunificare la Germania non si è chiesto solo quale fosse il costo economico di un'operazione di quella portata. Si è chiesto quale fosse il guadagno politico per un intero continente, quale opportunità di pace e prosperità si portasse dietro, e in questa ottica ha inscritto la sua azione.

L'Italia, in questo caso, compie pienamente il suo dovere. Davanti alle tragedie dei barconi affondati al largo di Lampedusa, abbiamo sì chiesto l'aiuto dell'Europa, ma ci siamo rimboccati le maniche e abbiamo lanciato mare nostrum. Dopo i 366 morti accertati del 3 ottobre 2013, Mare Nostrum, con i suoi 558 interventi, ha permesso di salvare 100mila vite umane, arrestando più di 700 scafisti, e sequestrando 6 navi. Ma era chiaro che l'Italia non potesse da sola sobbarcarsi il costo di un'attività che interessa tutto il bacino del mediterraneo. Ecco perché, durante il semestre di presidenza, abbiamo sostenuto con forza il passaggio all'operazione Tritone, che a differenza di Mare Nostrum è interamente finanziata dal bilancio comunitario. Questo non perché l'Italia voglia disinteressarsi dei migranti (la nostra Marina Militare continua a effettuare salvataggi, come nelle ultime settimane), ma perché siamo convinti che se l'Europa vuole giocare un ruolo determinate nelle politiche globali, non può considerare il Mediterraneo un affare italiano, ma deve trovare la volontà politica di impegnarsi.

È con soddisfazione, dunque, che abbiamo accolto la decisione della Commissione Europea di garantire un finanziamento straordinario a Tritone di oltre 13 milioni di euro, e di estenderne il funzionamento a tutto il 2015. Il Vicepresidente della Commissione Frans Timmermans e l'Alto Rappresentante Federica Mogherini hanno espresso tutto il loro sostegno all'azione dell'Italia. Auspichiamo di conseguenza che tale iniziativa segni il concreto passaggio da un’operazione su base volontaristica a un impegno obbligatorio e coordinato tra tutti gli stati membri, in linea con il principio che le frontiere nazionali sono frontiere europee e devono essere controllate a livello comunitario.


Sandro Gozi


 
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